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martedì 12 settembre 2017

Ancora 2

In Ingiurie conclusi che ero curioso di conoscere il parere di un paio di miei amici esperti di legge riguardo le mie perplessità su quello che mi pareva un controsenso ovvero che, nel contesto di una lite, si distinguesse fra ingiuria e ingiuria.

Probabilmente avrei dovuto fornire loro il collegamento al pezzo che avevo scritto, in maniera che avessero ben chiari quali fossero i miei dubbi, ma preferii mandargli una breve epistola con un esempio diverso e meno “paradossale” di quello della donna condannata dal tribunale per aver risposto “negro qualcosa” a chi le aveva augurato la morte del figlio: da una parte non mi piace costringere nemmeno gli amici a leggere quello che scrivo (e gli avvocati non apprezzano la lettura del mio viario), da un'altra amo lasciarmi degli “assi nella manica” per, eventualmente, controribattere alle loro spiegazioni...

La prima cosa che mi ha stupito, anche se comunque me l'aspettavo e razionalmente lo capisco, è la loro totale mancanza di interesse per il dilemma morale/filosofico alla base di questa questione.
Per loro la legge è la legge e non gli interessa se essa sia basata su principi moralmente corretti: in altre parole non pare importargli se la legge si possa trasformare in ingiustizia (*1), ovvero nel contrario di ciò che idealmente dovrebbe tutelare.
Il loro lavoro è quello di lavorare con la legge senza preoccuparsi di altro: probabilmente un avvocato che si distraesse con questioni morali rischierebbe di non difendere al meglio il proprio cliente e, di come i giudici risolvano la propria dissonanza cognitiva fra legge e giustizia, ho già scritto (v. Il consulente e la ragioniera)...

Non avendo fattogli leggere il mio pezzo nessuno dei due risponde esattamente alla mia domanda: mi pare però di capire che secondo un parere, se entrambi si insultano allora è “pari e patta” (questa sarebbe la mia teoria filosofica che però non spiega i miei vaghi ricordi del caso citato in Ingiurie); l'altro parere non scende nel merito e si limita a constatare che se l'ingiuria sussiste allora termini come “negro qualcosa” sono (non completamente esatto, vedi poi) sicuramente un'aggravante razzista.

Ma poi c'è stato il colpo di scena!
A causa del dlgs 7/2016 l'ingiuria è stata depenalizzata trasformandosi quindi in un illecito civile: e non sembrerebbe che l'aggravante di razzismo riporti l'ingiuria in ambito penale perché la legge sull'aggravante parlava di “reato” e, come detto, l'ingiuria non è più reato (*2)...

In definitiva sembrerebbe che il mio caso paradossale sia stato sorpassato dalla “burocrazia legale”. L'aggravante di ingiuria a sfondo razzista almeno penalmente non esiste più: ma magari è comunque previsto qualcosa del genere nella normativa civile, non so...

Eppure questa indagine mi ha lasciato insoddisfatto: dal mio punto di vista è la morale e non la legge l'elemento precipuo della questione ma questa non è stata neppure sfiorata; per questo rimango della mia opinione che le parole, nel contesto di una lite, siano tutte uguali e che distinguere fra esse sia solo ipocrisia. Beh, colpa mia che non gli ho passato il collegamento al mio pezzo...

Conclusione: bel colpo di scena vero? Eppure la legge mi sorprende meno della pazienza dei miei amici per le mie domande!

Nota (*1): perché se la legge non si fonda su principi morali allora inevitabilmente li violerà...
Nota (*2): queste sottili distinzioni lessicali mi lasciano perplesso perché mi sembrano giocare con cosa sia giusto e cosa no. Ma dopotutto non mi dovrei stupire, la legge è essenzialmente un formalismo e, come tale, si basa sull'interpretazione rigida e formale delle sue parole: poco ha a che vedere con la giustizia....

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