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martedì 11 luglio 2017

La cavaliera della morte

[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 0.3.0). In particolare i capitoli: 7 e 8.

Ieri ho terminato di leggere uno strano libro: La cavaliera della morte di Leon Bloy, Ed. Adelphi, 1996, a cura di Nicola Muschitello: si tratta di un volumetto che avevo scelto a caso proprio perché corto e quindi, dal mio punto di vista, adatto per essere letto in bagno.

Ovviamente nella mia ignoranza non avevo idea (era un libro di mio zio) di chi fosse l'autore, né l'argomento, né l'epoca. A quest'ultima domanda risponde però subito l'autore in una breve premessa aggiunta nel 1896 dove spiega che la prima parte è del 1877 mentre i due "capitoli" aggiunti successivamente sono del 1890-91.

Procedendo nella lettura diventa chiaro che la prima parte è incentrata su Maria Antonietta regina di Francia e moglie di Luigi XVI. Ho scritto che l'opera mi è parsa strana e la ragione è il suo stile: i vocaboli sono estremamente ricercati e le frasi, anche nell'ottima traduzione, riverberano nella mente del lettore. In realtà di sostanza ce n'è molto poca: l'autore esalta Maria Antonietta ma elenca le sue idee in frasi mirabolanti ma senza sostenerle con argomentazioni concrete. È chiaro che l'autore è un credente cattolico e, sicuramente, monarchico; lo stile ci dice poi che è molto colto e immagino, in lingua originale, debba essere ancora più impressionante: ma si tratta di frasi altisonanti che si basano solo sull'opinione dell'autore.

Mi pare poi di capire che Bloy attacchi anche provocatoriamente i grandi illuministi francesi (tipo Rousseau) perché anti cristiani: e credo anzi che attacchi il XIX secolo, in contrasto col XVIII, proprio perché li esalta rinnegando contemporaneamente i valori cristiani (e monarchici).

Nonostante la mancanza di argomenti Bloy esprime comunque un concetto vero e probabilmente, a quel tempo, “rivoluzionario”: la decapitazione di Maria Antonietta fu ingiusta, fatta solo per soddisfare la pancia della folla, la voglia di vendetta e rivalsa di un popolo che cercava capri espiatori per la propria povertà.
Ad esempio al processo, se si può credere alle parole di Bloy, all'avvocato della regina fu concesso solo un quarto d'ora per preparare la difesa dopo l'arringa lunghissima e dell'accusa. In pratica l'ex regina non era solo già condannata in partenza ma non le si volle neppure dare l'opportunità di difendersi facendo sentire la propria voce perché questo avrebbe messo in imbarazzo giudici e accusatori. Sempre secondo Bloy infatti non c'era nessuna prova contro di lei se non qualche accusa palesemente falsa o estorta al figlio piccolo.

La rivoluzione francese è un mito che esalta i “famosi” principi di libertà, uguaglianza e fraternità: ma questo mito ha poco a che vedere con la realtà storica in cui il popolo fu solo usato per abbattere la monarchia: ma il potere passò solo di mano ([E] 7.2) e non toccò certo alle masse...

Le mie note a margine sono molto poche perché, come detto, l'autore fa dei bei discorsi ma non si preoccupa di sostanziarli: almeno per una volta le potrò elencare tutte senza perdere troppo tempo!

[Cap. II, “Le bucoliche di Moloc”, pag. 28-29] → Al di là dello stile trovo solo apprezzabile il ridimensionamento della rivoluzione ma non l'esaltazione della regina. (*1)
Di questo ho già scritto ed è inutile che mi ripeta.

[Cap. III, “Il niente dei gigli”, pag. 38] → Nel capitolo precedente i complimenti pesi, ma qui critiche divertenti (*1)
È un concetto interessante: nel II capitolo l'autore esaltava Maria Antonietta ma, come detto, i meriti che le attribuiva non erano argomentati e mi sembravano molto arbitrari; nel III capitolo invece parla delle debolezze del re, schernendolo in maniera arguta e divertente.
La mia considerazione implicita è che giustificare i meriti è molto più difficile che evidenziare i difetti.
Vabbè, mi fa un po' fatica ricopiarlo ma ecco qualche esempio di come viene rappresentato Luigi XVI da Bloy (utile anche per intuirne lo stile ricercatissimo): «[Il re] Adiposo e linfatico Picrocolo...» (*2)
«[Il re] Appoggiandosi alla nuvola fuggente delle più vane speranze che abbiano mai abitato la molle polpa di un cervello filantropico, ...» (*2)
«La parola NIENTE, scritta senza punto esclamativo dalla innocente mano del Re, serve a registrare il nulla, per lui assoluto, di qualsiasi giornata sottratta al nobile piacere della caccia dalle esigenze delle funzioni reali.» (*3)

[Cap. III, “Al popolo la leonessa!”, pag. 50] → Ricostruzione emotiva/morale
Bloy non fa un'analisi storica della rivoluzione o del processo a Maria Antonietta ma piuttosto ricostruisce la vicenda da un punto di vista emotivo (sembra molto coinvolto) e morale.
Ho anche evidenziato il seguente passaggio: «Fintanto che ci fu insegnata una speranza cristiana, ci rassegnammo in silenzio a una perpetua penitenza. Da quando filosofi e ruffiani hanno distrutto questa speranza, abbiamo smesso di rassegnarci.» (*4)
Non voglio dilungarmi ma, le analogie con la mia visione della religione e del suo contrasto con la scienza espressa nell'epitome ([E] 8), sono evidenti.

[Cap. V, “Un ultimo spettro”, pag. 76] → Ironia
In questo capitolo l'autore si immagina un'ipotetica arringa in difesa della regina nella quale, conscio che la regina sarà comunque condannata, vengono evidenziate con sottile ironia diverse palesi ingiustizie.
Avevo evidenziato diversi passaggi: il più corto (ma forse anche il più bello) è questo «[è l'avvocato che parla] Mi sono sforzato... ...levando la voce in favore della sventura [la regina], dinanzi a un tribunale la cui inflessibile equità è temuta dagli innocenti non meno che dai colpevoli.»

[Cap. V, “Un ultimo spettro”, pag. 78] → Dopo ironico appello ai valori della rivoluzione si rivolge a Maria Antonietta
Il difensore immaginario della regina si rivolge poi direttamente a ella: il cambio di stile è immediato e da ironico diventa solenne, quasi fosse una preghiera. La sensazione è data anche dai diversi paragrafi che si aprano con una sorta di invocazione: “Mia Signora e Sovrana”, “O Regina perseguitata!”, “O Madre oltraggiata...”

[Il Marciume dei gigli, IV, pag. 95] → Ah! Ah!
Questa è la prima delle due parti aggiunte in seguito dove viene descritta la sorte meschina (gestore di un postribolo) del presunto nipote di Luigi XVI.
La mia risata è però riferita a un breve passaggio dove Bloy descrive così un certo Pierre Veuillot, del quale evidentemente non condivide il pensiero: «...ogni tanto [Pierre Veuillot] biascica sull'“Univers” dei mediocri anatemi contro i partigiani dell'Impostore [il presunto discendente del re], in una mediocrissima prosa da feto abortito su cui si sia seduta una levatrice impazzita.» (*5)
Immagine carina!

[Il principe nero, VI, pag. 108] → Pena Inferno parte gaudio dei beati
È la conclusione della seconda delle aggiunte dove viene descritta la fine ingloriosa e misteriosa di Napoleone IV.
Il mio commento si riferisce all'idea dell'autore secondo cui parte della gioia dei beati verrà anche dal sapere puniti i malfattori.
Personalmente trovo già inconcepibile che un cristiano faccia il bene con lo scopo di ottenere una ricompensa nella vita futura (secondo me il bene va fatto in quanto tale) e quindi, a maggior ragione, mi sembra una motivazione vergognosa fare il bene per godere della sofferenza di chi invece sarà dannato.
Il passaggio incriminato è questo: «... la disperazione senza fine dei maledetti sarà parte del gaudio senza fine degli eletti di Dio...» (*6)

Infine, proprio nello spazio bianco sotto l'estrema conclusione dell'autore (datata 5 marzo 1891), ho scritto: Inizio o fine secolo influenzano sensazione comprensione del mondo?
Si tratta di un'idea che mi è venuta probabilmente leggendo l'anno (1891): ma questa è un'idea per un pezzo a parte! Chi vuole provi a divertirsi cercando di indovinare cosa ho in mente...

Conclusione: un libro di cui condivido molto poco ma che comunque ho apprezzato per la scrittura brillante ottimamente resa dal traduttore.

Nota (*1): si tratta di glosse che scrivo per me, che mi servono solo come appunto per ricordarmi ciò che mi ha colpito: per questo spesso sono scritte in maniera imprecisa e sgrammaticata...
Nota (*2): da La cavaliera della morte di Leon Bloy, Ed. Adelphi, 1996, a cura di Nicola Muschitello, pag. 38.
Nota (*3): ibidem, pag. 39.
Nota (*4): ibidem, pag. 51.
Nota (*5): ibidem, pag. 95.
Nota (*6): ibidem, pag. 108.

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