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martedì 28 aprile 2015

Gioco o strategia politica?

Devo anticipare che gran parte di questo pezzo sarà solo una lunga premessa per arrivare alla domanda/ipotesi/intuizione del titolo.

Da qualche giorno sto seguendo uno dei “soliti” corsi in linea gratuiti.
Stavolta si tratta di un corso di “strategia competitiva” della Ludwig-Maximilians-Universität München (LMU): ovvero di un'università tedesca e, in parte, l'ho scelto proprio perché ero curioso di osservare il loro approccio all'insegnamento.
Lo stile giocoso e super simpaticoso degli americani mi piace il giusto: lo trovo un po' eccessivo quando non falso e sforzato; a volte mi secca che i minuti persi in spiritosaggini non siano stati usati più produttivamente per approfondire dei concetti...
L'unico altro corso di non americani che ho seguito è stato quello di Harari dell'università di Tel Aviv: non ha senso trarre conclusioni generali da una sola osservazione comunque il suo modo di insegnare era molto diverso da quello americano: Harari è concreto, preciso e non lascia spazio a fronzoli, il suo umorismo è schivo, appena accennato: fa capire che c'è ma non gli importa se non tutti se ne accorgono...

Sto facendo questa lunga premessa, apparentemente fuori tema, perché in realtà non ho intenzione di illustrare idee specifiche del corso quanto invece sottolineare l'impressione subliminare che mi ha fatto.

L'insegnante, tale Tobias Kretschmer, parla un ottimo inglese: si sente che non è un madrelingua ma personalmente non sarei stato in grado di indovinare il suo paese di origine.
È piuttosto serio e le uniche note colorate sono un manifesto sullo sfondo del suo ufficio e un modellino accanto alla sua poltrona (di volta in volta manifesto e modellino (*1) cambiano in accordo col tema della lezione).
È preciso e chiaro nelle sue spiegazioni: forse l'unico limite è che il suo approccio è troppo pratico e con poca teoria. Il problema di lezioni incentrate su esempi pratici è che si rischia di concentrarsi troppo sugli esempi perdendo di vista la dimensione generale del problema. Un esempio: se la teoria prevede 5 casi ma l'insegnante mostra solo 3 esempi si ha poi l'errata sensazione che quel 60% di casi mostrati dagli esempi siano rappresentativi del 98% del totale...
Nel complesso comunque le sue lezioni mi piacciono abbastanza e mi sembrano proficue.

Ma cosa è la competitive strategy?
Basandomi sugli esempi visti si tratta di strategia commerciale per aziende. Essendo interessato alla strategia in generale ero curioso di vedere come questa possa venire applicata nelle imprese, multi nazionali e non.
In pratica si tratta di adattare la teoria dei giochi (equilibrio di Nash e simili) a casi complessi della vita reale dove le aziende corrispondono ai giocatori e le regole del gioco sono date dalle possibili interazioni dirette e indirette fra le stesse.
Qui ho visto subito un grosso problema che non è stato assolutamente affrontato dall'insegnante: A. Quanto sono affidabili i risultati basati applicando la teoria dei giochi a modelli iper semplificati?
B. Come capire quali dovranno essere gli elementi salienti del modello e cosa invece potrà essere ignorato?
A queste domande fondamentali Tobias non ha dato risposta e, anzi, neppure le ha poste...
Alcuni dei suoi esempi si rifanno a casi reali, evidentemente studiati e analizzati attentamente, come l'interazione fra Boeing e Airbus per la costruzione di un nuovo aereo, oppure a quella fra Sony e Phillips per la realizzazione delle specifiche dei CD...
Da questi esempi le decisioni corrette da prendere appaiono ovvie: la domanda che ci si pone è allora per quale ragione, nella realtà, a volte le aziende non hanno scelto al meglio.
Io mi do due risposte:
1. se questa applicazione della teoria dei giochi al mondo delle aziende è relativamente recente, diciamo anni '80, allora ci vogliono almeno 10-20 anni affinché questa possa venire effettivamente recepita e applicata dall'industria. Gli esempi visti non erano recentissimi... Ipotizzo quindi che, almeno in Germania, queste tecniche di strategia siano divenute comuni intorno all'anno 2000.
2. i modelli che illustrano così chiaramente quale avrebbero dovute essere le decisioni corrette da prendere sono stati fatti a posteriori: fatti cioè sapendo quali sarebbero stati gli elementi determinanti e il risultato finale. In questa maniera è facile costruire modelli che illustrino una certa problematica ma molto più complesso è indovinare quale sarà l'elemento discriminante di una situazione quando questa ancora non si è verificata!

La sensazione datami da questo modo di operare le proprie scelte strategiche mi ha lasciato un senso di disagio: l'assenza di considerazioni morali non è frutto di cinismo (comunque umano e comprensibile) quanto dell'indifferenza che procede dalla matematica. Il ridurre ogni decisioni a un'equivalenza numerica, a un valore maggiore o minore, mi ha turbato.
È strano perché, come i miei lettori ben sanno, ho una mentalità piuttosto matematica: razionalmente capisco benissimo che le decisioni prese basandosi sui teoremi, se il modello è corretto e affidabile, sono quelle migliori eppure... Eppure la sensazione di disagio persiste: il fatto poi che il professore sembri oblioso a questa problematica non aiuta. Manca una riflessione sul possibile contrasto di decisioni matematicamente ineccepibili ma anche amorali, nel senso di prese senza nessuna considerazione di bene o male.

Ma ecco l'intuizione vera e propria: così come la teoria dei giochi è entrata nel quotidiano dell'economia (almeno di quella tedesca) non è forse altrettanto possibile che sia entrata anche in politica?
Possibile che mentre i nostri politici sono fermi alla resistenza sì/resistenza no, oscillano fra buonismo e xenofobia sulla questione immigrazione, seguono (senza capirle) le ricette economiche di Bruxelles e si affannano solamente ad apparire bravi e belli sui media; ecco, mentre i nostri politici indifferenti a tutto se non alla continuazione del proprio potere, può darsi che in Germania la diplomazia abbia iniziato a usare abitualmente e sistematicamente questi strumenti matematici?

Questo spiegherebbe la politica tedesca che è riuscita nell'ultimo decennio a massimizzare i guadagni (in senso lato) della Germania ma con un'indifferenza alle sorti degli altri paesi e alle sofferenze delle loro popolazioni che è anche fredda e inumana: il risultato di calcoli matematici...
Penso alla Grecia ma anche all'Italia e agli altri stati vittime, nell'era della globalizzazione, dell'inadeguatezza e incompetenza della propria classe politica...

Nota (*1): a proposito di serendipità: il modellino più ricorrente è quello di un Walker di Star Wars e io, pochi giorni prima, avevo finito di leggere (v. il corto Trilogia) la trilogia di Timothy Zahn. Ma non solo! Forse ancora non tutti hanno visto la mia ultima vignetta per “Fantascienza” ma in essa, sullo sfondo, campeggiano proprio due Walker!

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