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giovedì 19 gennaio 2017

L'uomo che sussurra alle renne (3/4)

Qui prosegue l'intervista all'amico Lorenzo De Ninno iniziata in L'uomo che sussurra alle renne (1/4) e L'uomo che sussurra alle renne (2/4).

KGB: questa esperienza ha avuto poi un impatto anche successivamente, sul come vivi e svolgi il tuo lavoro?
MO: quando ho partecipato alla corsa nel deserto, e successivamente alle due esperienze in Lapponia (quest'anno andrò a fare la terza), ero sì da solo ma mi sono confrontato con altre persone: tutti in quel momento, per quella settimana, non avevamo più barriere. È l'esperienza di riduzione all'essenziale che le elimina. Ogni persona la vedi “nuda”: senza cioè quei filtri che normalmente mediano il rapporto umano.
Questa sensazione adesso riesco a trasferirla sul lavoro: la consapevolezza dell'esistenza di queste sovrastrutture mi aiuta molto nelle relazioni perché mi permette di capire e leggere più a fondo le altre persone, riconoscendo in essi la loro essenza più profonda e il relativo “filtro” sociale. In base a questa consapevolezza adatto così il mio rapporto umano e di lavoro con loro.
Nel Sahara e nelle corse successive ho capito che le persone hanno delle impalcature che, quando crollano, ci fanno rimanere “nudi”. Nel lavoro adesso ho la consapevolezza dell'esistenza di queste impalcature e posso guardarci attraverso e arrivare al primitivo che ho di fronte in quel momento.
Adesso nel mio lavoro, che è molto basato sui rapporti umani tipici del cantiere, quando ho di fronte un falegname, un muratore o un altro architetto riesco a prendere quella persona, o a farmi prendere, sotto diversi aspetti, ho più facilità a comprendere e a farmi comprendere. E questa capacità mi ha aiutato molto.
Un'altra ripercussione di queste esperienze riguarda il lavoro manuale: a me piace molto lavorare con le mani – quando risistemo una casa molte cose, come il restauro del legno, le eseguo personalmente – e, di nuovo, l'essere ritornato in contatto con la propria identità ancestrale, che usa le proprie mani perché esse sono il suo strumento principale, mi ha aiutato rendendomi più consapevole e ampliando le mie capacità. In particolare entrando più facilmente in contatto con gli artigiani, osservando come lavorano, vedendo il legno, toccando una serie di strumenti, ne traggo a mia volta ispirazione per le mie opere.
KGB: e dopo la corsa nel deserto quali altre esperienze di questo tipo hai avuto?
MO: prima devo fare una premessa importante: alla Marathon des Sables del 2012 sono arrivato vergine perché è stata la prima “gara” di corsa in assoluto della mia vita! Questo nonostante che Enrico (il mio amico) mi avesse avvisato che fosse da pazzi non provare a partecipare a nessuna gara prima, come ad esempio la maratona di Firenze che si corre a novembre, ma io preferii fare così...
Al riguardo ricordo un aneddoto alla partenza della Marathon des Sables del 2012: accanto a me c'era un'istituzione... il corridore... il dio della corsa...un signore che si chiama Marco Olmo, è piemontese, ha fatto praticamente tutte le edizioni di questa maratona, adesso ha 68 anni e, su circa 1000 partecipanti, lui riesce ad arrivare sempre intorno al 20°-22° posto... quando aveva la mia età arrivava al 3°-4°-6° posto... lui è un'istituzione perché ancora corre in una maniera che io me lo sogno [ridendo]... ...ecco io mi ero sistemato al nastro di partenza, in prima fila accanto a lui che mi ha guardato... è un po' più alto di me, secco secco...e mi ha detto, con l'accento piemontese che non so rifare, «E tu sei quello – perché si era sparsa la voce – che non ha mai fatto una gara in vita sua, vero?» E io, con lo zaino in spalla pronto per partire l'ho guardato e gli ho detto «Maa... sì...» e lui mi guarda e fa «Ah... hai un bel coraggio a stare qua accanto a noi in prima fila!» dopo tre secondi, pronti via, tutti partiti e io ho detto «porca puttana che cazzo ho fatto!?» [ridendo]
KGB: in effetti non proprio un buon viatico [ridendo] per iniziare la tua prima gara! Poi a quali altre manifestazioni hai partecipato?
MO: poi ho partecipato due volte alla 150Km di Rovaniemi: nel 2013, quando mi ritirai, e nel 2014 quando arrivai primo nella categoria corsa su sci. Questo anno parteciperò invece alla 300Km...
Quello che mi piace di queste gare è la solitudine, il deserto dove non c'è nessuno, lo stare da soli e l'idea della sopravvivenza: perché correndo in questi luoghi non c'è la possibilità di essere costantemente assistiti – certo, se sei in pericolo di vita ti vengono a riprendere – generalmente però sei da solo e devi cercare di cavartela con le tue sole forze...
Ecco, si ritorna sempre lì, queste condizioni ti aiutano nell'esperienza di rientrare in contatto con il proprio spirito primitivo che invece in altre situazioni non toccheresti. Nel 2013 ho fatto anche la maratona di Firenze, cioè 42Km., e questa è una cosa difficile... ma alla fine è un giochino perché te la consumi in 3/4 ore, poi corri in città, corri con altre 10.000 persone... la maratona è uno sforzo fisico e mentale ma non ti porta a quella riduzione essenziale che io cerco...
La maratona è un'esperienza diversa: non è una cosa che mi interessa perché per me è troppo urbana, troppo umana e troppo moderna.
Nella Marathon des Sables, su sei tappe, ce n'è una che è una maratona: quella mi interessa perché la corri nel deserto del Sahara in un ambiente dove tu comunque sei da solo...
KGB: che differenza c'è fra la gara nel deserto e quella in Lapponia?
MO: è banale ma la differenza principale è che in Lapponia, facendo freddo, si corre a febbraio, devi portare più materiale con te: è come se tu ti portassi dietro la tua casa, l'esperienza della carovana...
E poi sei più da solo e questo ti costringe ancor di più a fare i conti con te stesso ma non è una sfida è, come ti ho già detto, una riscoperta del tuo io. Con la maratona di Firenze ad esempio riscopri il tuo fisico... scopri che al 35° Km. c'è una crisi... ti arriva una mazzata e dici «ne mancano 7 ma non arriverò mai alla fine!» [ridendo]... però finisce lì...
Quando invece sei alla partenza in Lapponia, devi affrontare 150Km, magari sta nevicando, siamo al massimo un centinaio di persone, di cui però quelle in bici se ne vanno via subito, quelle a piedi e sugli sci all'inizio viaggiano insieme ma dopo un po' ognuno si ritrova per conto suo. Ti ritrovi per tanti Km. completamente solo, con la tua slitta, con i tuoi viveri e dici «C###, bello!» [ridendo]
La prima volta che ho fatto la Lapponia ero a piedi e mi sono ritirato dopo 70-80Km: ricordo che mi ero fermato a un check point dove c'era una tenda per dormire con parecchie altre persone che arrivavano perché in quel momento ero fra i primi. Però avevo sbagliato l'alimentazione, qualcosa mi aveva fatto male e avevo vomitato. Quando poi mi sono svegliato era passato molto tempo, ero ormai fra gli ultimi e non c'era più nessuno... sono uscito dalla tenda e c'era solo un falò acceso con una coppia di lapponi volontari e tutto il bosco buio intorno. E io allora gli dico «Io non mi sento bene» e loro, che non parlavano neppure inglese, mi hanno guardato come per dire «E chi c### se ne frega?! Né ti capisco né mi interessa farlo...» Cioè io ero ancora con la mentalità “cittadina” di dire “Signori, non mi sento bene: mi potete chiamare un taxi o un ambulanza?” ma lì, se non stai proprio male, non ti puoi permettere comodità di questo genere. Così, quando ho capito di non aver speranza di essere “aiutato” da questi due, mi sono rassegnato a chiedergli «Da che parte devo andare?» e lui mi ha indicato un... un buio pesto in mezzo al bosco, era freddo, notte fonda, ma mi son detto «Qui c#### devo andare avanti!». O vai avanti o vai avanti: ero in mezzo a un bosco... non sapevo dove era nulla, ero completamente perso: c'era solo la tenda, il fuoco, questi due e la direzione “avanti” e quindi a quel punto vai! [ridendo]
KGB: Quindi nella tua prima partecipazione alla Rovaniemi ti ritirasti perché ti sentisti male?
MO: non solo... Questa esperienza non è più una sfida come poteva essere la “rincorsa” all'autobus di Fiesole: è un viaggio che si deve fare tranquillamente per riscoprirsi. Quindi se questo viaggio riesce, e riesce senza forzature, allora è giusto andare avanti: se però si è stanchi e non si hanno energie per andare avanti allora è bene non insistere: ci si ferma e finisce lì, va bene così, non deve essere una forzatura. Quando i nostri lontani progenitori nomadi si spostavano, a meno che non ci fosse una belva che li rincorresse (!), non si sfidavano ad arrivare a piantare la tenda per primi o ad andare il più avanti possibile...
Per questo motivo mi sono ritirato: mi sono reso conto di essere molto stanco e, appena ne ho avuto la possibilità, l'ho fatto senza troppi rimpianti.
Volevo anche aggiungere una considerazione a quanto precedentemente detto: un aspetto bellissimo delle esperienze nel Sahara e in Lapponia è la preparazione tecnica, che non è quella fisica o mentale, ma è piuttosto la scelta del cibo e dell'attrezzatura: la provi, qualcosa scarti, trovi l'esatta quantità necessaria... È un processo che dura mesi: e l'obiettivo è che tutto deve tornare. Quando poi arrivo alla corsa vera e propria ne ricavo una grande soddisfazione a verificare che avevo previsto tutto accuratamente, compresi i possibili imprevisti. È la ricerca di un gesto perfetto che poi si risolve in quei cinque giorni. Probabilmente questa sensazione la provo a causa del mio background da karateka: l'importanza del ricercare il gesto, il movimento “perfetto”, ripetuto migliaia di volte in allenamento e finalmente messo in pratica. Nei giorni della gara devi aver già previsto, programmato, analizzato e discusso tutto; e le incognite che rimangono devi essere in grado di affrontarle. Per esempio io porto con me i ricambi della slitta se si dovesse rompere qualcosa, gli attrezzi per aggiustarla e di conseguenza ho la necessità di prevedere i possibili imprevisti. E in questi casi il “movimento perfetto” corrisponde al saper risolvere il problema, a farlo rapidamente e senza rischiare nulla. Nella mia seconda esperienza in Lapponia, verso le 3 di notte mi su ruppe la slitta e io mi ritrovai al freddo e al buio a dover risolvere un problema pratico: ovviamente non sei in pericolo di vita ma sei comunque in pericolo di giramento di cogl### se da lì non ti puoi muovere.... Rischiavo di dover dormire all'aperto nel sacco a pelo per poi ritirarmi: in quella situazione ho aperto la busta con tutti gli utensili e i ricambi che mi ero portato e, in maniera spontanea, mi sono ricordato di un vecchio episodio quando da bambino feci una riparazione simile insieme a mio padre: nella stessa maniera sono così riuscito ad aggiustare la slitta. Queste esperienze ti permettono di riscoprire ciò che hai dentro in maniera naturale.

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