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domenica 24 luglio 2016

La fine del Corso

Qualche giorno fa ho terminato di seguire il famigerato corso (non ho voglia di andare a cercare per l'ennesima volta il collegamento!) di filosofia della giustizia e morale.
Magari è colpa mia che non ho letto le letture associate ma l'ultima parte, diciamo da Aristotele in poi mi è parsa meno chiara. In pratica su vari argomenti si arriva a un risultato e al suo opposto: probabilmente ciò è voluto perché il professor Sandel ha lasciato per il finale le questioni morali che attualmente sono più dibattute e per le quali non vi è quindi un'opinione unanime. Giustamente egli ha dato spazio a tutte le principali opinioni, partendo dalle loro ragioni più profonde, ma questo continuo alternarsi di punti di vista discordi mi ha confuso.
Probabilmente per fare chiarezza sarebbero bastate un paio di lezioni in più in maniera da poter rimarcare chiaramente le varie fasi di elaborazione concettuale...

Nelle ultimissime lezioni ha affrontato proprio il tema della relazione della morale (e quindi della giustizia!) col bene. Quando ne scrissi io in Divagazione morale e successivamente in Morale escatologica ne aveva appena accennato in maniera da non dargli troppo risalto: e infatti pensavo di essere stato io molto perspicace a cogliere l'importanza di questa questione!

Ovviamente, secondo Sandel, tutti i filosofi sono concordi nel ritenere il bene strettamente legato a una particolare cultura. La questione si riduce quindi a considerare se la morale possa essere basata su un qualcosa di indipendente da esso.
Non sono sicuro di aver capito bene ma credo che l'opinione di Sandel ricalchi quella della corte suprema del Massachusetts che, dovendo decidere sull'ammissibilità del “matrimonio gay”, arriva alla conclusione che è necessario prendere una posizione morale su di esso per poter decidere.
Onestamente I singoli passaggi logici non mi sono chiarissimi (probabilmente dovrei rileggere il materiale visto che c'è un sunto molto approfondito della sentenza in questione) ma la conclusione di tale corte è che, almeno in questo caso, la morale (e quindi la giustizia) non può prescindere dalla concezione di cosa sia il bene. E Sandel, mi pare, ritiene che questo ragionamento sia in generale valido per qualsiasi questione morale.

La conclusione a cui ero arrivato io (vedi i pezzi sopracitati e soprattutto il secondo di essi) era che la morale potesse essere fatta derivare da uno o più principi di partenza: «Sono infatti giunto alla conclusione che la morale non vada costruita sul “bene” (ovvero formulando regole, obblighi morali, mirati a preservare una certa idea di bene) ma debba derivare da uno o più principi semplici e ben definiti. Ho fatto una prova con gli insegnamenti del venerabile Yury e sono riuscito a costruire un'etica estremamente coerente e plausibile»

Riguardo a questa mia teoria l'unica obiezione del professor Sandel l'ho trovata in una citazione di un filosofo: ovviamente il “solito” John Rawls col quale infatti non ho niente in comune: vedi Dubbi su Rawls e Obiezione a Rawls.

La citazione di Rawls a cui mi riferisco (da me tradotta in italiano) è: «L'ideazione della giustizia non può essere dedotta da principi auto evidenti. La sua giustificazione dipende dal mutuo supporto di molte considerazioni, di tutto ciò che si combina insieme per una visione coerente.»

Beh, a me pare di avere un chiaro controesempio a quanto dice Rawls ma mi dovrò decidere a illustrarlo in un pezzo a parte: per il momento lascio quindi la questione in sospeso ma, prima o poi, ci ritornerò...

Stavo poi cercando di individuare quale sia stato l'insegnamento che più mi ha colpito dell'intero corso. Non è facile stabilirlo perché ogni pensiero, ogni idea è intrecciata con le altre: non c'è una chiara lista di concetti distinti fra loro da cui scegliere.
Però, forse, un'idea, anzi una consapevolezza, spicca fra le altre: il professor Sandel l'ha espressa con noncuranza, come se fosse un'ovvietà, ma io credo che riassuma in sé tutta l'ipocrisia della nostra società. Secondo Sandel, e anch'io ne sono convinto, la tanto declamata uguaglianza fra gli uomini delle nostre costituzioni non è reale ma solo formale.
Questo significa che, in teoria, tutti hanno le stesse opportunità ma poi, in pratica, molto dipende dall'ambiente famigliare in cui si nasce. Ad esempio, chi è più ricco potrà permettersi un'istruzione migliore e potrà scegliere fra le migliori opportunità.

Un mio esempio: “La legge è uguale per tutti” ma chi ha più soldi potrà permettersi gli avvocati migliori che, presumibilmente, riusciranno a difenderlo più efficacemente: ma la conseguenza è che “la giustizia non è uguale per tutti”. L'uguaglianza formale (la legge uguale per tutti) non garantisce che tutti ottengano lo stesso trattamento dalla giustizia (chi è più ricco sarà più favorito).

Conclusione: nel complesso, nonostante il finale sotto tono, è stato un corso meraviglioso che, ovviamente, suggerisco a tutti di seguire.

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