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venerdì 12 settembre 2014

Nando

In questi ultimi due giorni sono stato fuori casa per motivi personali. Uscire dalla solita routine ha un effetto molto benefico sulla mia creatività e, almeno in questo momento, avrei voglia di scrivere svariati pezzi su disparati argomenti.
Ah, dimenticavo: devo sottolineare che sono stato nella città dove ho fatto l'università e, sebbene le mie memorie dell'epoca siano molto scarse (v. Memoria, passato e destinoo (1/3) e successivi...), qualcosa comunque mi ricordo!

Avevo la serata “libera” e così ne ho approfittato per fare una lunga passeggiata in centro. Sulle sensazioni ed emozioni di tale escursione ritornerò, forse, in un pezzo successivo. Oggi mi concentrerò invece sul locale dove ho cenato: ovvero da Nando...

Si tratta di un piccolo locale, situato in una strada strategica molto frequentata, che vende pizza a taglio ed è famoso per la sua “cecina”, un piatto tipico del posto. Io però ci andavo per la pizza.
Si tratta infatti di una pizza molto particolare che non ho mai ritrovato altrove: il retro è sottile e croccante mentre l'impasto è morbidissimo; la farcitura è sempre la stessa: una copertura di pomodoro, acciughe e capperi, olio e una spolverata di parmigiano. Cotta in piccole teglie basse e tonde di alluminio in un grande forno a legna.

Diversamente da altri luoghi, dopo circa vent'anni, non vi ho trovato niente di diverso. Questa sensazione di familiarità avrebbe dovuto essere piacevole ma invece mi ha impressionato. Il locale non era rimasto simile a se stesso ma, addirittura, completamente uguale: non era cambiato niente.
Il posto in sé non sembrava neppure invecchiato: tavoli e sedie non parevano consunti ma nuovi, come se nel corso degli anni avessero sempre sostituito i mobili vecchi con altri uguali, o comunque molto simili, disponendoli sempre nella medesima maniera. La teglia della cecina era al suo posto, quella della pizza idem, l'affettatrice col prosciutto anche...
Ma ancora più del posto mi hanno impressionato i titolari, credo tre fratelli: anche loro, ancor più della pizzeria, sono rimasti esattamente gli stessi. Intendiamoci, sono invecchiati, ma i loro gesti e le loro espressioni sono totalmente immutate.
Avendo ordinato una pizza mi ero infatti seduto nella loro direzione (non servono ai tavoli ma, quando è pronto, ti chiamano a prendere il cibo con un cenno) e ho avuto modo di osservarli attentamente.

Al forno c'è sempre un omone dallo sguardo truce: a causa dell'espressione minacciosa mi metteva sempre un po' a disagio. Non credo di averlo mai visto sorridere. Quando non controlla le pizze nel forno il suo sguardo vaga oltre la vetrata d'ingresso della pizzeria. Attento, indifferente, la mascella sempre serrata. Se deve parlare con i clienti usa pochissime parole, solo le indispensabili. Rispetto a vent'anni fa aveva i capelli brizzolati, forse un po' più grasso e meno muscoli ma non troppo.

Poi c'era la “ragazza”. All'epoca era una ragazza robusta, adesso equivale a 3-4 ragazze robuste. Decisamente la più giovane, a occhio della mia età. Ricordo che lei era l'unica a cercare di accattivarsi un minimo i clienti con sorrisi, qualche battuta e occasionali risate. Gli sguardi cupi dei fratelli però annullavano i suoi sforzi che, anzi, paradossalmente assumevano una tinta di falsa untuosità. Da questo punto di vista è rimasta uguale: in mezzo agli umbratili fratelli continua a sforzarsi di apparire simpatica.

Poi c'è il fratello più anziano: i suoi riccioli scuri sono ormai quasi tutti bianchi. Anche lui robusto, sebbene non come il fratello, è sempre serio e con lo sguardo vagamente sovrapensiero. A differenza dell'altro però, almeno, non appare minaccioso! Sembra che sia quello incaricato di tenere i conti, spesso annota qualcosa a mano su un registro. Ah, ed è lui che taglia il prosciutto! L'affettatrice è dalla sua parte infatti...

Già così mi pare di aver reso l'idea: aggiungo di non ricordare di averli mai visti parlare del più o del meno con i clienti, mai un cliente usuale, magari un amico, con cui scherzare. Mai visti lanciare una battuta verso qualcuna delle numerose studentesse universitarie del luogo...
Insomma un locale in cui non si va certo per la simpatia dei proprietari ma unicamente per la particolare qualità dei loro prodotti.

Ma quello che davvero colpisce è la ripetitività dei loro gesti: ieri li ho guardati per un quarto d'ora ma sono sicuro che negli ultimi venti (e passa!) anni, per una decina di ore al giorno, ogni giorno (tranne qualche settimana di ferie ad agosto...forse...non ricordo...) hanno ripetuto sempre ed esattamente queste stesse azioni. La cosa sconvolgente è che sembrano tutti profondamente infelici: suppongo guadagnino bene, dopotutto il locale, oltre che sempre aperto, è anche molto frequentato, ma a che pro? Che vita è?

Io sono un caso disperato ma non credo che, al loro posto, avrei resistito a lungo in tale monotonia. Probabilmente avrei cercato di sfruttare la loro "bomba atomica": la particolarissima pizza che riescono a fare. Che non è buona in senso assoluto ma, essendo così diversa dalle altre, a volte ti va proprio "quella" e "quella" la trovi solo da loro. Con quel prodotto unico avevano le potenzialità di fare una catena di Nando. Questo l'avrei capito: sacrificarsi e lavorare duro per creare un “impero” sarebbe stato comprensibile. Invece no, si accontentano, perseverano pertinaci in qualcosa che non amano e, soprattutto, non cambiano niente di niente.

Quando sono andato a pagare ho accennato al fatto che ero un vecchio cliente e, un po' malignamente, mi sono complimentato dicendogli che non erano cambiati per niente. La donna ha ridacchiato e il fratello più anziano ha detto “magari!” accennando a una smorfia di mezzo sorriso che, solo per un attimo, ha infranto la maschera impassibile del suo volto. E la donna mi ha fatto dieci centesimi di sconto!

Conclusione: mi sono da sempre oziosamente chiesto chi fosse “Nando”, ora la mia fantasia mi dice che Nando fosse il padre: un uomo con un carattere così forte che ha marchiato indelebilmente la personalità dei figli.

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