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martedì 7 gennaio 2014

Strabuccino e il groviglio d'amore o l'anfibologia

Strabuccino stava faticosamente portando a spasso il suo nuovo cane. Sbuffando e sudando lo trascinava dietro di sé, grazie a un robusto guinzaglio, lungo le strade di terra battuta e pietrisco.
La gente lo guardava stupita e poi rideva alle sue spalle additandolo. Lo stesso Strabuccino iniziava a rimpiangere l'idea che sole poche settimane prima gli era sembrata ottima.

Egli desiderava la fedele compagnia di un cane ma temeva di affezionarsi troppo e di soffrire ancor di più alla sua inevitabile morte: per questo aveva avuto la brillante idee di farsene uno di pietra.
Armato di martello e scalpello iniziò a scolpire un bel blocco di diorite grigiastra e, in pochi giorni, finì la sua opera. Quando messi via gli attrezzi lo contemplò per bene, con un sorriso d'orgoglio sulle labbra, pensò «È fatto!» e decise quindi di chiamarlo Done.
Sfortunatamente il suo talento da scultore era praticamente nullo è il risultato fu modesto: il cane, che nella mente dell'autore doveva essere accucciato ma con la testa alta, assomigliava a una slitta un po' storta con un bozzo sbrecciato sul davanti che doveva rappresentare il muso. La coda si era rotta e ne rimaneva solo un moncherino aggiustato alla bell'e meglio mentre delle zampe posteriori, intagliate ai lati del blocco, la destra era venuta lunga il doppio della sinistra...

Inizialmente Strabuccino era rimasto molto contento del proprio lavoro: apprezzava la silenziosa compagnia dell'animale e gli dava un gran senso di sicurezza sapere che questi, anche la notte, con la testa sempre vigile scrutava con immobile attenzione le ombre...
Il problema era portarlo a spasso: sul pavimento liscio di casa sua non c'erano problemi a spostarlo di pochi metri da una stanza all'altra ma lungo le strade del paese, spesso accidentate, tendeva a rimanere incastrato su ogni sasso fuori posto. In quei casi Strabuccino doveva tirare cercando al contempo di sollevare i suoi 57Kg. così che, quando rientrava a casa, era distrutto dalla stanchezza, con la schiena a pezzi e le mani sbucciate...
Oltretutto queste passeggiate non erano mai brevi perché il cane si rifiutava di fare i propri bisogni e sembrava sempre trattenerli il più a lungo possibile.

Quel giorno Strabuccino pensava seriamente all'idea di abbandonarlo sull'autostrada ma, non avendo una macchina e non esistendo autostrade nel raggio di centinaia di chilometri, non sapeva come fare...
«Forza muoviti Done! Dai che sono stanco!» - ripeteva continuamente Strabuccino per incoraggiare il proprio animale.
«Oh! Bravissimo! Finalmente!» - esultò Strabuccino osservando una pietra del marciapiede finita fuori posto - «Stavolta l'hai fatta proprio grossa, eh!» - disse usando un sacchetto di plastica rovesciato, come fosse un guanto, per prenderla con circospezione, rivoltare attorno ad essa il sacchetto, chiuderlo con un fiocco e gettarlo in un vicino cestino per la spazzatura. Ora potevano tornare verso casa!

Strabuccino tirava e sbuffava a testa bassa per lo sforzo quando davanti a sé delle gambe, indiscutibilmente femminili, iniziarono a entrare nel suo campo visivo. Se ne stupì molto: le ragazze infatti non si affollavano intorno a lui per accarezzare e fare complimenti al suo cane (come aveva sempre segretamente sperato) ma, appena lo vedevano, attraversavano la strada per cambiare marciapiede...
Questa invece, seppure lentamente, continuava ad avvicinarsi nella sua direzione. Prendendo coraggio Strabuccino osò alzare la testa per darle una rapida occhiata: era bellissima!
Indossava una minigonna e le gambe erano lunghe e snelle ma anche toniche e forti come piacevano a lui; la maglietta aveva una generosa scollatura e la ragazza, camminando leggermente sporta in avanti e con le braccia tese dietro di sé, lasciava intravedere la pelle candida come neve del prospero seno; il volto regolare, serio e intelligente era incorniciato da una frangetta di capelli corvini. Ma quando anche lei alzò lo sguardo su di lui, ciò che maggiormente colpì Strabuccino, furono i suoi bellissimi occhi color rosso fuoco che sembravano dei rubini splendenti...
Entrambi arrossirono e guardando altrove continuarono ad avvicinarsi sempre più lentamente.
Quando furono a pochi metri di distanza Strabuccino con stupore capì il motivo della sua strana andatura: anche lei stava trascinandosi dietro qualcosa! Si trattava (era scolpito molto bene!) di un piccolo barboncino di pietra, probabilmente femmina perché adornato da un fiocco rosa in testa.

La ragazza, che evidentemente aveva anch'ella notato il grosso cane di Strabuccino, gli accennò un timido sorriso.
Il cervello di Strabuccino iniziò a lavorare a tutta velocità: aveva capito che la ragazza era ben disposta nei suoi confronti e desiderava ardentemente dirle qualcosa di intelligente e arguto per rompere il ghiaccio e farne la conoscenza.
«“Che bella giornata oggi, eh?”» - pensò - «No, troppo banale...»
«“Ti tira parecchio? A me sì tanto...” uhm... sottilmente allusiva, ma se mi fraintende? Troppo rischiosa!»
«“Vuole un osso signorina?” no, peggio!» - pensò disperatamente quando ormai la ragazza era a pochi passi. Poi fece l'errore di rialzare lo sguardo e perse secondi preziosi ipnotizzato dalla scollatura della ragazza...
«“Che colline...” no! “Lei mi pare morbida dav...” no!!! “Scusi! Sa per caso indicarmi...” cosa!? La via di casa? Non va!». Poi improvvisamente arrivò l'ispirazione - «Devo prendere lo spunto dai nostri animali! Appena le sono vicino mi rivolgerò scherzosamente a Done ed esclamerò a voce alta e maschia: “Guarda Done! Qualcuno come te!” poi attaccheremo a parlare e...»
E poi fu a un solo passo da lei ma il suo sguardo fu rapito dai suoi occhi di fuoco, poi cadde sulle sue labbra socchiuse, scivolò sul velo di sudore del suo seno e rimbalzò sulla morbida curva dei suoi fianchi che prometteva un sederino di primo ordine...
Quando Strabuccino si riscosse era ormai al suo fianco e in fretta e furia iniziò a uralre «Sss..ohm.. GUAR...» poi si accorse della voce troppa alta e sussurrò «...da Done...» poi si ricordò di usare la voce più maschia e biascicò «Qualculo come te...» e, rendendosi conto del lapsus, ripeté «...te...»

Gli parve di sentirla sospirare ma, troppo imbarazzato anche solo per voltarsi, proseguì oltre maledicendo la goffaggine della propria lingua.
Dopo aver superato la ragazza di pochi passi, tutto rosso in viso per la frustrazione dell'occasione perduta, sentì improvvisamente Done che lo strattonava alle spalle: «Proprio adesso si deve rimettere a farla?!»
Quindi Strabuccino si voltò e si accorse con orrore che Done era montato sopra la barboncina della ragazza e stava evidentemente cercando di coinvolgerla in un coito improvvisato quanto improprio...
«Che fai Done!» - urlò imbarazzatissimo.
E fu allora che si accorse che anche la ragazza stava guardando la scena erotica con le guance nivee accese da un pudico rossore. Poi anche lei alzò lo sguardo su di lui e, con sommo stupore di Strabuccino, gli sorrise amichevolmente dicendogli: «Evidentemente anche i nostri animali si trovano molto simpatici... ma forse sarebbe meglio interromperli, eh?»
Senza aspettare la risposta di Strabuccino che si limitava a fissarla a bocca aperta, tornò sui suoi passi, passò alla sinistra di lui girandogli dietro alla schiena, lo sfiorò con il seno mentre stando alle sue spalle si faceva passare il guinzaglio da una mano all'altra e, un momento dopo, riapparve al fianco destro di Strabuccino sorridendogli amichevolmente.
«Ecco fatto!» - gli disse.
Strabuccino guardò i due cani e si accorse che effettivamente erano stati separati: la barboncina con malizia femminile faceva finta di niente mentre Done la guardava con un languido sguardo di rimpianto.
Visto che Strabuccino non accennava a parlare lei continuò: - «Come si chiama il tuo cane?»
«Done» - rispose automaticamente Strabuccino che ancora era completamente ipnotizzato dalla bellezza della leggiadra fanciulla...
«Fico! È di che razza è?» - proseguì visto che lui non aggiungeva altro.
Strabuccino non ci aveva mai pensato e rimase un attimo interdetto ma poi rispose: - «È un meticcio... Probabilmente fra i suoi antenati c'era un mastino ma non saprei dirti con precisione...». Il riflettere sulle origine di Done aveva finalmente fatto tornare Strabuccino in sé e così lui le chiese: - «E tu come ti chiami?» poi arrossendo si corresse «Cioè la tua cagnetta come si chiama?»
Imbarazzatissimo Strabuccino distolse lo sguardo dal volto di lei e osservò nuovamente i cani: la canina adesso sembrava offesa, immobile e pronta a ringhiare; Done era tutto teso a osservarla e dava l'idea di volerle saltarle addosso alla prima occasione...
«Il mio nome è Diaspra anche se gli amici, che in verità non ho, mi chiamano Carbuncolo» - rispose lei ridacchiando.
«“Carbonculo” per i capelli e il... ehm... sedere?» - chiese inopinatamente Strabuccino.
«No, ovviamente il soprannome che, è “Carbuncolo” e non “Carbonculo”, è per via dei miei occhi...» - poi quasi fra sé, prosegui - «Ma a te piace dirmi le cosacce eh? Già prima quando ci siamo incrociati mi hai fatto sciogliere tutta...»
Strabuccino, in parte imbarazzato per l'ennesimo errore e in parte orgoglioso per averla fatta “sciogliere”, rimase a guardarla perplesso.
Lei, come leggendogli nella mente, spiegò: - «Non ho capito benissimo ma mi riferisco a quando prima mi hai detto “Son guardone che culo e tette!”... Sai che mi ero quasi offesa? Però mi intrighi così tanto...»

Strabuccino pensò che fosse meglio non correggerla spiegandole che in effetti aveva cercato di dirle tutt'altro...
Rotto così il ghiaccio Strabuccino e Diaspra continuarono a passeggiare insieme. Adesso era Strabuccino a trascinarsi dietro i due cani che sembravano molto più interessati ad avvinghiarsi fra loro che a camminare. Ogni volta che i due animali ci davano dentro Strabuccino interveniva per separarli ma per lui non era un problema ma un piacere perché Diaspra ridacchiando non perdeva l'occasione per fare piccanti allusioni alle qualità amatorie del padrone di un cane così focoso...
Una volta Strabuccino si ricordò di richiederle come si chiamava l'impudica cagnetta di Diaspra e lei gli rispose: - «Lei è la mia dolce Metà!». E Strabuccino capì perché andava così d'accordo con Done...
I due parlarono a lungo e di svariati argomenti e scoprirono di avere numerose affinità: non solo erano dei cinofili incompresi ma condividevano la passione per la collezione di foglie secche, per l'agemina, per la saprofagia e molte altre ancora...
Certo avevano anche delle piccole diversità: ad esempio Diaspra per fare il caffè frizzante vi aggiungeva una compressa di vitamina C effervescente mentre Strabuccino l'allungava con la Coca Cola. Ma erano differenze minori e di nessuna importanza...
Ogni volta che Strabuccino scopriva una nuova affinità con Diaspra non faceva che ripetersi, dentro di sé, della propria fortuna: «Questa è proprio la donna per me! Non solo è bellissima ma siamo anche così simili e compatibili!». E, mentre camminavano fianco a fianco, già si immaginava di sposarla e di rimanere per sempre accanto a lei in completa gioia e letizia. In quei momenti Strabuccino sentiva l'amore per lei farsi sempre più grande tanto da sperare che lei non guardasse in basso accorgendosene...
Diaspra era poi affascinata dalla natura micetica di Strabuccino, della sua simbiosi fungo-ometto, e quasi non riusciva a credere che ogni volta che lui moriva poi rinasceva nella fungaia sotto la sua casalbero.
«Chissà quali sostanze psichedeliche trasudano dalla tua pelle...» - diceva Diaspra guardandolo con occhi languidi - «... forse dovrei provare a leccarti...» - aggiungeva con un sorriso birichino stringendogli più forte il braccio con la propria mano.
E a quelle parole e a quel contatto, immancabilmente, Strabuccino sentiva traboccare il suo amore per lei da ogni poro e non.
Infine giunse la sera e arrivò il momento di separarsi: Strabuccino e Diaspra si scambiarono i numeri di telefono e ogni altro recapito informatico possibile e immaginabile.
Mentre si allontanavano si voltarono più volte indietro per salutarsi sorridendo e per sollecitare i rispettivi cani che si facevano tirare non avendo alcuna voglia di lasciarsi...

Strabuccino era troppo esperto nel sottile gioco dell'amore per chiamarla subito. Per giorni attese una messaggio o una telefonata di Diaspra ma lei non si fece viva: quando poi provò lui a contattarla non ci riuscì. Mai lei gli rispose e mai lui ne seppe il perché.

Epilogo
Inconsciamente Strabuccino dette la colpa di tutto a Done. Forse per questo lo lasciò libero davanti al portone di casa, ai piedi dell'albero: in questa maniera avrebbe continuato a fare la guardia potendo fare i propri bisognini quando e dove preferiva: a sera Strabuccino gli portava la ciotola con la pappa e al mattino la ritrovava immancabilmente vuota. Done non era mai stato così vorace.

Il fato ebbe pietà di Strabuccino che non venne mai a sapere che Diaspra, appena tornata a casa, era stata colta da una violentissima reazione allergica causata dalle spore trasudate dai suoi pori e non. Paralizzata da violente convulsioni non era stata in grado di chiamare aiuto e dopo un'agonia di due giorni era morta in preda a dolori atroci.
Solo Metà aveva cercato di aiutarla uggiolando impotente ma nessuno aveva sentito i suoi disperati richiami: poi era rimasta per settimane immobile a vegliarla, senza toccare cibo, fino a quando i pompieri allertati dai vicini non avevano sfondato la porta...

L'anima l'amore aveva unito per un attimo,
per sempre aveva separato l'amore il corpo.

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