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martedì 23 luglio 2013

Riflessione musicale e non...

Sto sforzandomi di guardare il più velocemente possibile i video del corso sulla storia del rock (v. Rock & Aristotele) perché dal 29 luglio non saranno più disponibili. Ho visto le prime tre lezioni e me ne mancano ancora quattro: salvo imprevisti dovrei farcela...

Il corso continua a essere molto interessante ma ha anche evidenziato una realtà che mi disturba.
Ingenuamente, romanticamente, mi immaginavo i musicisti come un gruppo di ragazzi che si mettono insieme, che uniscono le rispettive qualità e talenti, per arrivare a produrre della musica che sia la personale sintesi delle loro emozioni e visione del mondo. Insomma vedo la musica come pura arte e il musicista come un artista al costante inseguimento della propria musa.

Invece questo corso sulla storia del rock ne dà una visione molto più cinica anche se, sicuramente, più realistica.
Come il mio maestro aveva subito notato, e lo stesso insegnante ribadisce all'inizio della seconda lezione, la visione che viene data del rock ha una prospettiva fortemente americana. Non si parla solo di musica e talento ma di tre elementi: musica, mercato e denaro.
Ecco, è il fatto che l'elemento puramente musicale sia in minoranza che mi colpisce e rattrista.

Appare infatti evidente che un gruppo ha successo non tanto per la sua musica ma soprattutto se il manager/produttore/casa discografica di turno crede che ci sia un mercato per esso con le relative prospettive di guadagno. Solo in questo caso il gruppo viene pubblicizzato e può sperare di ottenere il successo che meriterebbe. E molto spesso gli artisti si piegano a questa logica...

Non solo: appare anche evidente come i gusti della massa possano venire, se non controllati, almeno fortemente orientati dai “poteri forti musicali” (case discografiche, radio, DJ, pellicole cinematografiche e televisione). Ciò non è sorprendente: il fenomeno dei teen idol (che inizia già negli anni '50!) è talmente evidente (con i suoi protagonisti sempre bellocci e opzionalmente talentuosi) che nessuno può negare questa verità.
Seguendo il corso appare però anche evidente come il tentativo di aumentare i guadagni permei ogni aspetto della produzione musicale: compresi i generi che, almeno apparentemente, dovrebbero essere più “idealistici”.

Sono sicuro che molte persone concordino nel ritenere che la musica destinata ai più giovani sia appositamente (e cinicamente) costruita per essere da questi acquistata sfruttando i soliti ingredienti: bel cantante, amore, ribellione contro la società e i genitori. Molte meno numerosi sono però quelli disposti ad ammettere che qualcosa di analogo accada anche per altri generi musicali, compresi quelli destinati a un pubblico più maturo.
I più ritengono che i propri gusti non siano condizionati dall'esterno. Anzi: si illudono di non essere condizionabili.

Ma il vero punto di questa mia riflessione non è confinato al mondo musicale: ciò che è veramente fondamentale capire è che se i poteri forti, qualunque essi siano, sono in grado di influenzare così palesemente i nostri gusti musicali allora dovrebbe essere evidente a tutti come questi, analogamente, possano influenzare anche le nostre opinioni politiche e non.
Ovvero se i media dipingono una certa situazione usando sempre dei particolari colori, e ricorrono sempre a una specifica prospettiva, non dovrebbe essere palese che questo può influenzare la nostra interpretazione della realtà?

Invece no: la maggior parte delle persone crede ciecamente ai telegiornali e a quello che legge senza mai porsi l'essenziale domanda cui prodest?: ovvero “chi ci guadagna?” O ancora “Chi ci guadagna se io credo che la situazione sia esattamente quella rappresentata?” O anche “Chi trarrà vantaggio dalla mia presumibile reazione se io credo che la vicenda descritta dai media sia tale e quale?”. Io sono di natura sospettosa e mi viene normale pensare in questi termini: ma tutti dovrebbero avere il buon senso di avere questo minimo di prudenza...

Si vive nell'illusione della libertà perché non si vede la gabbia che ci tiene prigionieri. È una gabbia le cui sbarre invisibile sono forgiate col condizionamento a cui i normali cittadini sono costantemente sottoposti. Non mi riferisco solo ai media, ma anche alla tivvù e ai film hollywoodiani. Mi riferisco insomma a una cultura che insiste nell'affermare che siamo liberi perché siamo in democrazia e quindi possiamo votare per chi ci pare.
Che questo equivalga a essere liberi è dato per scontato ma non è così: l'uguaglianza democrazia pari a libertà non significa niente. Ci viene data per buona ma nessuna dimostrazione è fornita.
Chiedo quindi ai miei pochi lettori: se siamo liberi perché possiamo votare chi ci pare, ma poi coloro che votiamo fanno quello che pare a loro, allora siamo veramente liberi?
Persona ben più sagge di me (v. Oltre i conFini) ritengono che la democrazia serva a legittimare un certo equilibrio di poteri in una nazione: la massa delle persone, con il proprio voto, si illude di avere una frazione seppur piccola del potere; poi però, quando ad esempio i politici devono scegliere fra banche e comuni cittadini, sono sempre le prime a venire premiate... Ma il popolo non protesta perché siamo in “democrazia”: se qualcuno si agita troppo viene subito ammonito: “avresti dovuto votare per XXX” gli viene detto. Stai buono e non protestare: la farsa del voto è stata recitata adesso subisci e basta...

Conclusione: occhi aperti! Pensate con la vostra testa! Non credete a tutto quello che vi viene raccontato: cercate sempre di pensare chi ci guadagna se voi reagite a una notizia in un certo modo...
Non credete a quello che sarebbe bello credere solo perché lo sperate: spesso sono le cassandre ad aver ragione!
Ragionate, ragionate sempre e non fidatevi!

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