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mercoledì 13 febbraio 2013

Paramorosonoide (5/10)


5. La banda Bassotti a quattro zampe

In qualche maniera sono fuori dal capannone. Non vedo Barbara e per il panico quasi mi cedono le ginocchia. Non faccio in tempo a guardarmi intorno che lei mi è addosso. Il mio equilibrio è quel che è e casco a sedere in terra: mi affloscio come un sacco vuoto. Bado solo a mantenere alta la mano che regge lo spinello: sembro la parodia tossica della statua della libertà con la sua torcia. Barbara è tutta intorno a me: mi bacia e accarezza; la sua mano passa fra i miei capelli folti, mi sfiora la guancia, scende sul collo, preme sulla mia nuca, si aggrappa alla schiena, scorre sul petto e si insinua nei pantaloni: è come se avesse cento mani che mi toccano tutte contemporaneamente. Le sensazioni mi travolgono: mi sento affondare in un vortice di colori caldi, rosso e arancio, con delle macchie pulsanti di porpora. Ma lei è lì e mi tiene a galla, senza farmi affondare, tirandomi per le braccia e il collo. Sbatto le palpebre e mi rendo conto che, in qualche modo, mi ha fatto rimettere in piedi. «Mio cavaliere!» mormora. Si alza in punta di piedi e mi dà un pudico bacetto sulla guancia. Gioca con me e io gioco con lei. Porgo alla mia dama l'ambito trofeo, il mio ardente pegno d'amore. «Indovina come voglio fumarlo...» mi dice. Apro la bocca per provare a indovinare ma ho il cervello spento: faccio l'errore di guardare in alto, il cielo sopra di noi, e le stelle si fanno grandi e iniziano a caderci intorno con scie lucenti come se fossimo sotto una cascata di scintille. Pensa a tutto Barbara. Sento qualcosa che si insinua fra le mie labbra e automaticamente aspiro: poi è lei, con i suoi baci, che detta il ritmo del mio respiro, della mia vita. Come un naufrago mi aggrappo stretto alla sirena che mi tiene a galla: poi chiudo gli occhi e mi perdo.

Sto volando, sono in orbita, sfreccio fra i pianeti inseguendo una cometa che ride allegra: giro intorno alla terra più veloce di Superman ma lei è sempre un passo avanti. Divento un pesce e nuoto in un mondo oscuro illuminato da bolle di luce colorate e coralli iridescenti: sono veloce, ma la farfalla che mi chiama con voce suadente, vola nell'acqua ancora più rapidamente. Una sinfonia bellissima, un coro di mille angeli mi spinge avanti: sono un surfista e sfreccio su onde fatte di musica. Mentre fende l'acqua il mio surf genera potenti accordi di chitarra elettrica: mi bilancio, in equilibrio sulla tavola, per suonare una melodia che continua a sfuggirmi. Dietro di me una scia di riverbero rosa fucsia e spruzzi di note multicolori.

Poi lei è lì, davanti a me. Non so quanto tempo sia passato. Mi guardo intorno: tutto ondeggia ma ricordo e riconosco che siamo ancora nella vecchia fabbrica abbandonata. In qualche maniera Barbara è riuscita a farmi camminare: sudo ma ho freddo. Vorrei dirle di fermarci un attimo, ma lei mi parla. Non capisco cosa mi dice ma la sua voce bassa e calda mi piace: mi gira intorno felice e io non voglio contrariarla. Non voglio deluderla: mi aggrappo alla sua spalla e mi faccio guidare. Cerco di ignorare la nausea: il mal di mare provocatomi da questo mondo che non vuol saperne di starsene fermo.

Improvvisamente sento ridacchiare alle nostre spalle. Mi giro: una banda di cani ci sta seguendo. Sono dei brutti ceffi: ridono e sghignazzano fra loro. Il più grande porta dei vecchi occhiali da sole fuori moda: cammina tronfio, con la coda ritta e i capelli in testa, pieni di gel, tenuti tutti su un lato; un altro ha una rosa tatuata sulla spalla: penso che sia stato in carcere o almeno che voglia farlo credere; un terzo, un incrocio fra un pastore tedesco e qualcos'altro di più piccolo, ha i denti grandissimi di cui molti d'oro, alle orecchie, grandi e pendule, porta numerosi orecchini; il più piccolo sembra un chiuaha gigante col pelo lungo tutto sudicio: quando lo guardo mi fa un gestaccio con la zampa e mi mostra un coltello nascosto sotto il suo giubbotto di pelo. Anche Barbara se n'è accorta: fa finta di niente ma sento che si avvinghia con più forza al mio braccio. «Laggiù...» sussurra con un cenno della testa. Seguo il suo sguardo e nel buio intravedo appena quella che intuisco essere un'accetta: è conficcata in cima a quel che resta dello scheletro di una vecchia scaffalatura di legno. È molto in alto ma allungandomi dovrei farcela a raggiungerla. L'adrenalina mi ha schiarito le idee: sono determinato a fare tutto il necessario per proteggere Barbara. Iniziamo a muoverci verso l'arma: i cani si sono fatti baldanzosi. Ci circondano. Ridono e scherzano come se noi non potessimo sentirli: il mezzo pastore tedesco un paio di volte finge di incespicare e ne approfitta per palpare col muso umido il sedere di Barbara; un altro, l'arrogante chiuaha gigante, osa addirittura leccarle lascivamente la mano sinistra e subito dopo se ne vanta facendo l'occhiolino ai suoi degni compari. Il più grande, credo il loro capo, quello con gli occhiali da sole e la brillantina in testa, cerca di inserirsi fra me e Barbara, di dividerci: mi dà degli spintoni e mi guarda torvo. Vuole farmi capire che la vuole tutta per sé...

Finalmente arriviamo allo scaffale: tutto accade in un attimo. Con un piccolo salto riesco a raggiungere l'accetta e, mentre ancora sto atterrando, mi giro su me stesso per calarla violentemente sul cranio del cane più grosso. Lui si schianta a terra e per un attimo fisso il sangue, frammenti d'ossa e pezzetti di cervello che si mischiano con il gel dei suoi capelli. Gli altri cani, colti di sorpresa, scappano via uggiolando: non erano lupi ma vili sciacalli... Solo allora noto un uomo che ci segue a una decina di metri di distanza: adesso urla e agita le braccia furiosamente. In un angolo della mente ho la sensazione che ci abbia parlato dietro per tutto il tempo: solo che ero troppo concentrato sui cani per sentirlo veramente. Si avventa contro di noi: non ci penso due volte e gli scaglio contro, mettendoci tutta la mia forza, l'arma che ho ancora in mano. L'uomo crolla a terra senza un grido: solo il manico dell'accetta spunta dal suo petto. Ora lo vedo più chiaramente: è il vecchio che mi ha venduto lo spinello. Barbara si getta su di lui: la vedo porre le sue candide mani sulla ferita nel petto dell'uomo: quando le solleva sono bagnate di sangue scuro. Avvicina la testa al cadavere, lo guarda da vicino, forse gli mormora qualcosa. Improvvisamente scoppia a piangere e il mio cuore si ferma: “Oddio! Cosa ho fatto!” penso. Poi Barbara si gira verso di me e mi accorgo che ride di gioa: e io torno a respirare! I suoi occhi brillano per l'esaltazione, si alza in piedi e si lecca via il sangue dalle mani assaporandone ogni goccia: sento il suo piacere come se io stesso lo provassi. Si avvicina verso di me ancheggiando leggermente. Il sangue intorno alle labbra la fa sembrare una creatura di una bellissima e mortale pericolosità. Mi getta le braccia al collo, il suo seno contro il mio petto, mi bacia e sento il sapore ferroso del sangue che mi si scioglie in bocca. È un attimo: l'enormità della mia azione mi colpisce come un pugno allo stomaco. Le ginocchia mi cedono e per sostenermi mi appoggio a Barbara. Lei è molto più piccola di me eppure ora so che è molto più forte...

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